Sergio Cerini
"Il vestito per il corpo, il quadro e la scultura per il luogo"


SERGIO CERINI
di Laura Pariani
Guardando le prime opere di Sergio Cerini, da lontano si ha l’impressione di trovarsi di fronte a manufatti tessili - arazzi e tappeti - densamente decorati con motivi e colori presi dalla tradizione orientale o sudamericana: di quelli, insomma, che sarebbero tanto piaciuti a un nomade raffinato come Bruce Chatwin.
Però, quando ci si avvicina, ci si rende conto con sorpresa che il materiale usato dall’artista non è affatto tessuto, ma un gioco di strisce di carta sovrapposte con colla, in eleganti composizioni di forme e colori.
Il gioco degli inganni e degli spiazzamenti non finisce però qui. Da questi primi lavori, infatti, Sergio Cerini passa successivamente a invenzioni più sottili: i falsi arazzi di cartapesta si sfilacciano, come sbocconcellati o addirittura divorati dalle tarme di un tempo implacabile. Davanti a queste opere verrebbe da credere che l’artista metta in scena un tentativo di restaurare l’antica bellezza. Ma non ci staremo ingannando un’altra volta? Ché, come ben dice Fernando Pessoa, ogni artista è mentitore, da stracciare pure Ulisse... Lentamente dunque si fa strada in noi l’idea opposta: che cioè Sergio Cerini non abbia affatto l’intento di combattere ma piuttosto di approfondire l’opera di distruzione del tempo. Vien da propendere per questa seconda ipotesi, constatando come a poco a poco il lavoro di disfacimento degli arazzi si vada ampliando, raggiungendo forme sempre più estreme. Come quando, da bambini, smontavamo la testa di una bambola per scoprire la forza misteriosa che le faceva muovere gli occhi, e scoprivamo che tutto dipendeva da un minuscolo peso all’estremo di un’asticciola metallica che faceva girare gli occhi di vetro su un pernio...
Nei lavori più recenti, il livello del gioco si alza: l’evidente affiorare della trama e degli orditi dei fili di gesso colorato pare voler alludere al lavoro nascosto del tessitore, facendoci venire in mente antiche favole: dalla povera Aracne capace di suscitare l’invidia degli dèi, al pianto di Penelope che tesseva e disfaceva in una tela la sua quotidianità vedovile; fino al segreto dei misteriosi fili con cui le Parche giocavano con la vita degli esseri umani. Ché, dato che l’arte del tessere è antica quanto il mondo, l’avvilupparsi e lo spezzarsi dei fili sono sempre stati usati come metafora degli incidenti umani.
Ma perché Sergio Cerini mette in rilievo questo “gnòmmero” – come direbbe Carlo Emilio Gadda - di fili sciolti e strappati? Per alludere anche lui a quei percorsi della vita che non riusciamo a padroneggiare e che si ingarbugliano in disegni che non avevamo previsto?... Attenzione, non facciamoci ingannare! È più probabile che Sergio Cerini si stia burlando di noi per l’ennesima volta. Come gli artisti messicani che nei loro manufatti lasciano sempre un filo spezzato e penzolante: perché resti qualcosa di non concluso, altrimenti l’anima dell’artefice rimarrebbe imprigionata nel disegno finito alla perfezione; con la conseguenza che la facoltà immaginativa si perderebbe per sempre.